Close to the Sun Review

by Patrick Grioni
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Se foste una software house italiana, con possibilità tecnologiche e espressive di un certo livello, ma sicuramente senza i budget delle grandi produzioni più conosciute, difficilmente cerchereste di confrontavi con mostri sacri quali l’opera di Kevin Levine, che in Rapture prima e Colombia poi, ha saputo conquistare le vette narrative, estetiche e logiche, del genere horror-onirico.

We all make choices, but in the end our choices make us.

Kevin Levine

Non è cosi per Storm in a Teacup, software House romana, che, con Close to The Sun, un evidentissimo tributo alla serie Bioshock, vuole ambire, con una sua personale visione del genere, non troppo lontana, ma nemmeno troppo vicina all’ispirazione da cui trae un evidente riflesso, a stupire il pubblico, un po’ come in passato c’è capitato di scorgere con progetti quali il discusso Cryostasis.

Il lancio su piattaforma Steam (scontato del 25%) ci da stimolo e motivazione, dopo un anno passato come esclusiva Epic Games Store, per verificare se l’italica prole è riuscita a confezionare un titolo all’altezza delle elevate aspettative di cui è fecondo il Vault.

Ambientazione


L’anno è il 1897, tarda industrializzazione, dove lo sfarzo sfavillante di opere che glorificano l’ingegno umano, fanno da cornice a uno stile che traccia i paradigmi di eleganza, nobiltà, quasi da Ancien Regime.

Sfarzo

E’ un tempo dove l’inventiva veniva canalizzata in scontri che la storiografia ricorda ancora, e proprio uno di essi, quello tra Nikola Tesla e Thomas Edison, fa da sfondo alla vicenda narrata da Close to the Sun.

Vestiremo i panni di Rose Archer, una stimata giornalista, convocata dalla sorella attraverso una lettera (un clichè tipico) su una nave, la Helios, di proprietà della società Wardenclyffe, che è nata con la prospettiva di creare una energia pulita senza vincoli strutturali, dove non esistono bandiere, politica, ma solo scienza, senza quei quesiti morali perniciosi per la sperimentazione che il suo creatore, Nikola Tesla, ha ideato come opera magna.

Nella stessa vengono convocate le menti più brillanti del secolo che, ovviamente, in un contesto così ricettivo, spingono la sperimentazione a un livello tale da far nascere delle prospettive (energia infinita) ma anche delle terribili criticità: una di esse, appunto, è la sorella della protagonista, Ada Archer.

La bobina di Tesla

Di fatto, girovagando nei suoi ambienti ed essendo curiosi di leggere tutti gli approfondimenti che gli sviluppatori hanno avuto il buon cuore di lasciare, si entra in un curioso gioco storiografico: gran parte del contesto è assolutamente pertinente e reale, ma si scorgono anche intrighi (alcuni membri della nave erano spie di Edison, ad esempio) o figure rilevanti del tempo, che hanno ognuno uno spazio, un tassello, per ricreare una scenografia apprezzabile.

Gameplay e paradossi temporali


Arrivati sulla Helios, attraverso una sequenza in CG decisamente epica, ci si accorge che il comitato di benvenuto non è certo dei più calorosi e che la stessa vaga in uno stato di Quarantena imposta.

Si iniziano quindi a delineare le stringhe della narrativa Horror, anche se da subito saremo guidati dalla voce della sorella di Rose attraverso un sistema di comunicazione portatile, che renderà la vicenda sempre, in un certo senso, accompagnata: le prime ore di gioco rappresentano una grande introduzione ai fatti accaduti sulla stessa che man mano vengono rivelati tra un continuo mix di momenti esplorativi e sequenze di pathos dinamico.

Paradossi temporali

La nave di Wardenclyffe è, infatti, un grande cimitero, con presenze di figure effimere che rappresentano scorci di avvenimenti passati utili, in taluni casi, a risolvere i, comunque banali, enigmi: gli stessi sono un’occasione persa soprattutto in un contesto così stimolante dove un po’ di sana sfida poteva veramente rappresentare un valore aggiunto.

I personaggi con cui entreremo in contatto sono pochi e spesso impalpabili, la maggior parte dell’interazione avverrà attraverso le conversazioni che guideranno Rose nei meandri della Helios: questo è un espediente per non portare troppo in alto l’asticella della complessità (già usato in altri titoli con un budget non stellare) ed è particolarmente evidente in alcune animazioni e movimenti decisamente grezzi e impacciati nei pochi momenti dove sono presenti figure con sui interagire.

Noi ci vediamo del Bioshock

C’è da dire che alcuni aspetti narrativi danno, comunque, l’illusione che siano dinamiche contingenti ad affossare la nostra socialità e la cosa funziona assai bene per la prima metà di gioco, per poi diventare più evidente come siano state, sostanzialmente, scelte imposte.

La varietà delle situazioni, i colpi di scena brillano quasi fino al termine del gioco, anche perchè sapientemente mescolati tra tratti di pura esplorazione riflessiva, lenta, e improvvisi eventi dinamici che cambiano ratti il ritmo alla narrazione: le fughe saranno le nostre sole armi a disposizione.

Verso la fine dell’avventura, complice la mancanza di quel velo di mistero iniziale, Close to The Sun si plasma e tende a offrire altre caratteristiche: forse un po’ più sbrigativo, meno indizi in giro per la Helios, e, indubbiamente, perde qualche pezzo, restando comunque piacevole da portare a termine nelle sue 6-7 ore di durata.

Tutto è coerente al secolo descritto

Il personaggio che controlleremo, purtroppo, non tanto nei movimenti tradizionali, quanto quando deve compiere azioni quali il superamento di un ostacolo nelle scene dove sarà necessario fuggire, soffre di una certa rigidità, quasi che le azioni non siano conseguenziali e fluide, e questa lentezza e latenza nel compiere specifici movimenti rischia di influire su talune dinamiche conferendo una certa frustrazione, anche se, c’è da dire, il titolo non è particolarmente ostico.

L’estetica esplorativa


Valutare quanto un’idea possa funzionare è sempre un’attività complessa, nella nostra esperienza in Close to The Sun ci siamo, assolutamente, divertiti, anche se, a parte i riferimenti a Bioshock a volte fin troppo evidenti e un po’ disturbanti, a un’analisi obiettiva ci si accorge che, tolta l’ispirazione, si tratta di prodotti decisamente differenti.

Il titolo di Storm in a Teacup è una peregrinazione sostanzialmente estetica di un’ambientazione, di un contesto, ricreato con sapiente maestria, in cui è riprodotta una vicenda plausibile con un gameplay che funziona, ma spogliato di tutta una infrastruttura, di una componente sfidante, di una sofisticazione che avrebbe donato profondità anche oltre la mera scenografia ambientale.

Alcune ambientazioni sono certamente suggestive.

Anche a livello di utilizzo e performance con l’Unreal Engine 4 i programmatori italiani hanno fatto un ottimo lavoro, su R7 2700x, 16 Gb di ram e RX 5700 XT gira in 2k con una invidiabile fluidità, anche se, soffre, come buona parte delle produzioni che usufruiscono del motore Epic, di una certa pigrizia nel gestire la pre cache degli shaders: all’inizio di un nuovo livello potrebbe succedere di vedere qualche incertezza.

Altro plauso va alla componente audio, veramente ben gestita, sia negli effetti sonori sia nella colonna sonora, senza dimenticare il doppiaggio italiano che fa sempre piacere segnalare.

Conclusioni


3 stelle, che se dovessimo interpretare in scala 10, sarebbe un 7.5.

Pensiamo sia un voto giusto per un’opera che indubbiamente ha una invidiabile capacità narrativa, che riesce a incuriosire lo spettatore/giocatore, che è piacevole portare a termine, ma che è anche limitata in quanto a sfida, con un gameplay riuscito ma che alla lunga si fa un po’ stagnante perchè non riesce a sopperire alla mancanza della tensione iniziale.
Insomma un titolo convincente, ma, come dice il titolo stesso, va “Close” ad ambire qualcosa di più, ma non va mai abbastanza “Sun” da ottenerlo.

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