Sviluppatore: Imaginarylab | Distributore: VLG | Versione testata: Steam | Costo: 19,99 Euro | Data rilascio: 11/08/2020 |
Why adventure games suck?
Fu questo il titolo di un saggio scritto nell’ormai lontano 1989 da Ron Gilbert. Se non si conoscesse l’altisonante nome, verrebbe subito da pensare a un detrattore non solo dei giochi d’avventura, ma anche dell’intero medium videoludico se non fosse che lo stesso Gilbert, l’anno successivo, ideò The Secret of Monkey Island ponendo le basi – grazie al suo saggio di critiche costruttive dettategli dall’esperienza del suo spirito di videogiocatore incallito, non solo ad una serie che avrebbe fatto storia, ma addirittura creando de facto un intero genere per come lo conosciamo oggi a distanza di trent’anni esatti: le Avventure Grafiche.
Fino a quel momento, infatti, i giochi di avventura su personal computer altro non erano che esperienze testuali, basate sull’immaginazione, la versione digitale e solitaria dei giochi di ruolo che negli anni ’80 imperversavano sulle tavole dei nerd più incalliti, tra manuali, dadi di ogni sorta, fogli per prendere appunti e, ovviamente, tanta fantasia. Quando però le schede grafiche iniziarono a permettere di arricchire le schermate di gioco, fino a quel momento anonime scritte bianche su schermi neri, non solo con palette cromatiche, ma anche con fondali prima, e con sprite in movimento dopo, improvvisamente venne a galla il limite del genere: l’elemento punitivo, fino ad allora unico tratto distintivo che rendeva ludici questi semplici testi che altrimenti sarebbero stati mera lettura passiva, era ormai non solo superfluo ma addirittura fastidioso. Era tempo di cambiamento e Gilbert lo sapeva bene.
La caduta dei Titani
Nasce così, insieme alla scrittura a sei mani con Tim Schafer e Dave Grossman, il capostipite della pentalogia che portò un nuovo approccio all’avventura a schermo che adesso non era più un tenzone tra giocatore e trama, ma un dolce flirt: il gioco si trasformava in un amante paziente, complice, da baciare con delicati clic di mouse.
Ma l’amore, come le mode, passa e si spegne. I fasti delle avventure grafiche, che hanno accompagnato la generazione che ha vissuto gli anni ’90, si sono spenti velocemente come un tempestoso quanto fugace amore estivo. Sarebbe possibile fare qualche altro nome, citare altre AG che hanno fatto la storia del medium, ma i cinque capitoli che compongono la trama piratesca del capolavoro firmato LucasArts ben rappresentano, senza interpellare nessun altro, l’andamento di gaussiana memoria: due capitoli in pixel art, l’acme artistica nel 1997 col terzo capitolo, e poi la morte di Golia a partire dal 2000, quando l’introduzione della grafica tridimensionale spostò l’attenzione del pubblico verso altri generi, mentre lo stesso 3D era ancora troppo limitato per dare risultati soddisfacenti a un genere così rodato.
Chi non muore, si rivede
Sarebbe però disonesto scrivere l’epitaffio al genere. Negli ultimi anni, grazie anche all’avvento delle piattaforme digitali che hanno permesso a piccoli team indipendenti di poter autoprodurre i propri lavori al pubblico, abbattendo i costi e sfruttando al massimo i budget, le Avventure Grafiche sono risorte come una fenice, che risorge in una morte solo apparente, tornando splendente esattamente lì dove aveva lasciato le sue ceneri.
Ed è in questo contesto che nasce Willy Morgan and the Curse of Bone Town*, progetto interamente italiano ad opera di ImaginaryLab presentato per la prima volta allo Svilupparty 2018 di Bologna. Nonostante l’italianità del tutto, questo interessante progetto ha ben presto fatto il giro del mondo, è stato aspettato da tanti e oggi è finalmente sugli scaffali virtuali di Steam e GOG. Noi lo abbiamo provato per voi.*(d’ora in avanti WM)
Si torna all’arrembaggio!…?
Ciò che colpì due anni fa l’attenzione del pubblico e della stampa specializzata, fu la scelta, coraggiosa, di ispirarsi all’ormai defunto, ma mai dimenticato, Monkey Island. Un’ispirazione che non è solo nascosta, sussurrata o lasciata intendere solo a chi è capace di cogliere l’omaggio, ma gridata a gran voce e ufficializzata a mezzo stampa. Vestiremo i panni di Willy che, orfano del padre Henry da ormai dieci anni, decide di tornare a Bone Town, un’ex cittadina scalo portuale dei pirati nei tempi che furono, per fare chiarezza sull’accaduto.
Che Bone Town non sia più come raccontata nelle vecchie storie di mare, non è certo un segreto!Il faro. Cura nei dettagli ottima.
Già da questa piccola prefazione, possiamo cogliere la differenza col titolo ispiratore: WM non è ambientato nel ‘700, tra vascelli, pappagalli e bauli pieni d’oro, ma ai giorni nostri, in una città ormai quasi fantasma e fatiscente, che vive solo di storie e vecchie leggende.
Puntiamo i cannocchiali, capitano!
Da un punto di vista grafico, WM è la classica avventura grafica tridimensionale con i personaggi che si muovono su fondali a schermata fissa grazie al semplice uso del mouse, capace di girare praticamente su qualsiasi macchina. I fondali, una cinquantina, sono curatissimi, in alta definizione e strizzano l’occhio, con il loro stile deformed, alle produzioni Double Fine, il cui genio artistico è, guarda caso, Tim Schafer, sebbene le citazioni col caro vecchio Tim non finiscano qui, ma starà a voi trovarle per non rovinarvi ogni sorpresa.
Arrivati in città, saremo accolti da una avvolgente luna piena, come in Monkey Island, ma sarà solo un biglietto di benvenuto ai vecchi nostalgici, perché poi il giovane Willy preferirà muoversi di giorno, dove il bagliore diurno potrà mostrare tutti i dettagli di cui la direzione artistica non è stata parca e donarci degli scorci mozzafiato.
Lo stesso non si può dire invece delle animazioni dei personaggi: sempre nello stile deformed, le texture sono quasi monocromatiche con solo vaghi accenni d’ombra. Se il nostro Willy è caratterizzato da simpatici movimenti e da animazioni abbastanza convincenti (relativamente all’art design non eccessivamente realistico), compresi i movimenti facciali con buffi sorrisi, soprattutto quando rompe la quarta parete, tutti gli altri abitanti del villaggio sono legnosi e spesso non sembrano ben integrarsi con l’ambiente circostante. Un peccato.
Considerazioni
Se pensate che questo Willy Morgan sia il solito, ennesimo, “erede spirituale” che prende a piè pari situazioni e personaggi del gioco da cui trae ispirazione, siete fuori strada: dimenticate, ad esempio, il tanto atteso quanto poi deludente Mighty No.9 per i fan di Mega Man, il team italiano non ha svolto svogliatamente il compitino per dare qualche dimenticabile ora di piaggeria a una manciata di nostalgici, ma piuttosto sfrutta la scusa del citazionismo per ingannare il videogiocatore, farlo accomodare nella sua confort zone con voluti cliché e poterlo stordire subito dopo ribaltando le carte in tavola, catapultandolo in un gioco originale, fresco e mai banale.
È proprio il non prendersi sul serio il suo punto di forza, non c’è mai la presunzione (o la voglia) di superare il modello di partenza, né tantomeno di eguagliarlo, finite le formalità iniziali fa tutto a modo suo e si presenta per ciò che è, non per ciò che vuole far finta di essere. E in questo suo essere schietto e genuino, gli si perdona qualche difetto quando lo si incontra, specie se si sta ancora ridendo per qualche buffa gag legata all’enigma precedente.
Interessante anche la scrittura della storia in rapporto agli enigmi. Con la scoperta della seconda lettera [no spoiler], quella che darà inizio alla vera trama del gioco (ricordiamo che la prima è solo un pretesto per avviare la battuta d’inizio, nonché il livello-tutorial già disponibile da Marzo in formato di demo), ci troveremo davanti a ben otto macro quest, otto indagini che il giocatore dapprima cercherà di risolvere mentalmente in maniera individuale, provando a immaginare gli strumenti che potrebbero servirgli, confuso dalla mole d’informazioni che fin da subito dovrà tenere a mente. Ma dopo le prime titubanze e l’esplorazione della fatiscente Bone Town, senza neanche rendersene conto scioglierà gli enigmi poco a poco, sviluppando contemporaneamente le loro sub-quest in maniera parallela e progressiva per un intreccio sempre meno ramificato e arrivare dunque sulla pista principale della missione. Intendiamoci, nulla di rivoluzionario o trascendentale, è esattamente così che una buona avventura grafica andrebbe scritta, ma è un dettaglio che sicuramente mostra la passione profusa dei ragazzi di ImaginaryLab e fa spiccare la loro creatura tra le miriadi di produzioni più pigre, sviluppate in orizzontale con enigmi autoconclusivi e sequenziali che tengono sempre per mano il giocatore.
Difficile parlare della difficoltà: i veterani del genere non avranno problemi a risolverli, i novizi invece dovranno sicuramente ambientarsi alla logica laterale tipica delle AG, logica laterale che però qui non scade mai, come a volte accade, nella non-logica.
Conclusioni
PRO | CONTRO |
Scenari che da soli valgono il prezzo del biglietto | La terza location del gioco, un po’ frettolosa, avrebbe meritato qualche enigma in più per essere apprezzata nella sua maestosità |
Citazioni, gag e un umorismo mai forzato | Le animazioni dei personaggi e la loro modellazione avrebbero meritato la stessa cura della città |
Trama ed enigmi si sposano con la lore della città, vera protagonista, fondendosi insieme |
Willy Morgan and the Curse of Bone Town è dunque una piccola perla che non bisogna lasciarsi sfuggire in questa calda estate 2020 e si spera che la presenza di un sottotitolo dopo il nome del protagonista non sia solo una strizzata d’occhio alle nomenclature retrò dei film e dei libri anni ’80 e ’90, ma che possa essere un indizio (successo commerciale permettendo) di una nuova saga omonima al personaggio e che il nostro amico occhialuto prosegua le orme avventuriere della famiglia Morgan.
Non ci credete sulla bontà del prodotto? Anche voi, come Willy, seguite il consiglio del padre Henry “never trust anyone“?
Allora non vi resta che provarlo e crederlo da voi stessi!
Mio appena lo rendono disponibile 😉
Preso 😉