Recensire e giudicare un’opera horror non è mai facile: benchè si possa pensare il contrario, l’horror, come genere a sé stante, di fatto non esiste e mai nessuna opera riesce ad avere metri di paragoni con altre della stessa traccia, a meno che non si trattino di pallide imitazioni, di vecchie matrici xilografiche ricorrette nel tempo perchè consunte, ma che alla fine ripropongono – seppur con lievi cambiamenti – lo stesso soggetto.
Ogni arte ce lo insegna: in letteratura Dracula di Stoker era un romanzo epistolare, Il castello di Otranto di Walpole un romanzo di finzione letteraria ad ambientazione storica; neanche le arti pittoriche fanno eccezione e le Pitture Nere di Goya sono nient’altro che opere decorative, alcune delle quali addirittura didascaliche. L’elemento oscuro, pauroso, atro, è solo un’aggiunta – un’aggiunta che spesso prevale sul genere in cui inserito e su cui si appoggia, divenendo protagonista, certo – , ma mai da poter essere considerato esso stesso un genere. Trovarsi di fronte a un’opera come Visage, dunque, ricca e complessa, non può lasciare indifferenti o superficiali nella sua recensione.
IL VOLTO DELL’OSCURITÀ
L’introduzione di Visage è certamente forte e disturbante: un inizio che pone mille domande e mille interrogativi, nonostante sia, in un certo senso, anche una fine. Forse un epilogo per una trama circolare? Una domanda lecita, che mette subito il giocatore in estrema predisposizione non appena, finita la cutscene iniziale, si potrà prendere controllo del nostro protagonista, chiuso nella sua casa medioborghese anni ’80, assaliti da ulteriori dubbi quando sentiremo la voce della segreteria, unica voce che per il momento spezzerà il silenzio notturno. Come detto nell’introduzione, nessuna opera horrorifica – a meno che non abbia solide basi che ben pochi autori possono davvero permettersi – può essere un unicum e Visage non è certo priva di contaminazioni.
Contaminazioni, omaggi, citazioni, possiamo chiamarle come vogliamo, ma certamente non si può accusare i SadSquare Studio di copiare, perchè omaggiano senza nasconderlo. L’impressione iniziale è da subito quella di P.T., il famoso teaser del maestro di Tokyo, con quel senso claustrofobico delle mura domestiche: telefoni che squillano, radio e tv accese su frequenze bianche, enigmatiche azioni da compiere. Ma è solo un inchino, una galante levata di cappello che dura uno schiocco di dita, e subito Visage riprende la sua forma originale. Perchè sì, Visage, termine che l’Oxford Languages riporta come “a person’s facial expression“, ha per l’appunto una sua espressione personale.
GRAFICA E ATMOSFERA
Mosso dall’Unreal Engine 4, Visage è certamente uno spettacolo per gli occhi, forse non si griderà al miracolo tecnico, eppure nonostante le sue richieste per nulla esose, non solo fa quello che deve fare, ma lo fa in meglio, rimanendo sicuramente il migliore della sua categoria.
L‘illuminazione è veramente pregevole, il bagliore notturno delle finestre riverbera su ogni tipo di superficie in maniera diversa e perfettamente dinamica, lasciando intravedere – ma solo opportunamente dalla giusta distanza – anche l‘irraggiamento della luce stessa sui corpuscoli che levitano nell’aria della casa sporca.
I poligoni sono tanti quanti è giusto che siano, anche per gli oggetti più banali che di certo non mancano in una casa disordinata, e mai nulla viene pigramente replicato: perfino le innumerevoli foto di famiglia sparse per tutta la casa sono non solo foto prese dal vivo, ma tutte originali e in alta definizione: non è certo fonte di meraviglia, tutto è texturizzato in alta definizione, mai una palette sbiadita o stirata. Si può pensare che il lavoro svolto sia stato facile trattandosi di limitati interni, se non fosse che la casa sia solo un enorme hub di gioco e ci ritroveremo non di rado anche in esterni, in ospedali, in misteriose cripte dal gusto ottocentesco e altri non-luoghi. Anche quando sarà la casa ad essere la protagonista del nostro viaggio, essa si trasformerà, verrà ridisegnata e riproposta in veste sempre diversa, senza mai alcuna pigrizia.
Il gioco è ambientato in un eterno presente, le 3.33 del mattino: sarebbe bastato texturizzare gli orologi perfino in una produzione di fascia più alta, ma la sfera dei secondi prova a fare un timido scatto per tornare subito in posizione precedente. Un dettaglio minimo, insignificante, ma che certamente è paradigmatico sulla cura dell’art design, lì dove perfino la quantità numerica poligonale di altre produzioni blasonate non sempre riescono a creare qualcosa di “vivo”.
GAMEPLAY
Ma non è tutto oro ciò che luccica. Il gioco, senza alcuno spoiler data la presenza di un altare cattolico con la presenza di tre piatti votivi da riempire con dei doni, è formato da tre capitoli (in ognuno dei quali verrà, per l’appunto, raccolto il feticcio per l’ex voto) più un capitolo che funge da epilogo interattivo. Ognuno di essi sarà completamente diverso e ripensato rispetto all’altro e ancora una volta gli omaggi non mancano: a volte si cade nei più remoti meandri della mente e della pazzia irrazionale di Layers of Fear, altre nei ricordi disturbati di un pazzo chiuso in un manicomio, per cadere perfino, nonostante la già citata atmosfera cristianocattolica, in situazioni con presenze dal taglio orientale, timbro asiatico che forse viene acuito (o percepito) dalla presenza di una reflex e del suo flash come arma, elemento caratterizzante la serie indonesiana DreadOut (già omaggio della nipponica pentalogia di Project Zero).
Non ci sarebbe nulla di male e ancora una volta è giusto ribadire la presenza di pilastri su cui appoggiarsi. Il vero problema, forse, è una certa aurea di incoerenza di fondo, a partire dal protagonista muto: ciò che viene proposto come espediente di immedesimazione, alla lunga diventa quasi macchiettistico sia perchè fa perdere credibilità al nostro che compie azioni senza un vero perchè, senza mai domandarselo come se fosse un automa non pensante, sia perchè l’elemento trama viene meno, facendo scemare l’interesse nel giocatore. Un espediente, quello dell’horror non parlato, che ci è sembrato una strizzata d’occhio al pubblico streamer, dove le (troppo spesso) finte e sceniche grida di paura fanno monetizzare più di una trama ben fatta. Anche gli enigmi sono spesso fin troppo criptici e troppe volte non si capisce quando bisogna assecondare i fumi della mente onirizzante e quando invece bisogna aderire alla realtà con le proprie azioni come in una classica avventura grafica in POV.
Conclusioni
PRO | CONTRO |
Atmosfera e tensione | Alcuni enigmi illogici |
Game design e sonoro azzeccato | Trama solo sussurrata e troppo enigmatica |
Quantità di ambietazioni | Passaggi repentini nell’approccio di gioco |
Visage nasce come gioco intrigante e interessante, ma alcune scelte e di gameplay e di regia lo penalizzano, a volte spezzando quella perfetta sensazione di tensione che l’atmosfera riesce a creare e che ormai ben pochi giochi riescono effettivamente a indurre, soprattutto ai giocatori più incalliti. Un progetto che con una regia leggermente più attenta avrebbe potuto dare il massimo. Purtroppo però, a parte l’atmosfera horrorifica, è internamente incoerente e passa dall’essere un gioco ad enigmi ambientali a un walk-simulator, a un hide&seek, senza mai avvisare il giocatore, rendendolo altalenante. Nonostante ciò, se si può sorvolare su alcune scelte, per l’inquietudine e l’ansia che trasmette per la maggior parte del tempo merita di essere provato ed apprezzato pur fallendo in alcuni passaggi.