Sviluppatore: | Distributore: | Versione testata: | Costo: | Data rilascio: |
Humble Grove | Fellow Traveller | Steam | 12,49 euro | 30/07/2021 |
Ci sono temi che abbiamo trattato raramente sugli schermi dei nostri Pc, temi che fanno parte dell’aurea dell’analisi psicanalitica, sicuramente modernissimi e figli del nostro tempo, ma che stonano con la scanzonata proposta che vuole più che altro narrazioni che abbiano una certa leggerezza, vigore, moto.
No Longer Home non è nulla di tutto questo: conosciuto in principio come progetto 29 è una novella autobiografica di alcune vicende realmente vissute da Hana Lee e Cel Davison, gli autori, che parla di temi quali l’università, l’abbandono, persino di immigrazione e di quella incertezza sui propri mezzi, sulle proprie capacità, che porta vicino a un istinto di annullamento.
In AO, la coprotagonista della vicenda, questo tratto è indelebile, la sua voglia di sparire, di non pesare, di nascondersi dalla realtà che trova quasi ingiusta, fa di lei una icona, ed è proprio questa eccezionalità che fa del titolo di Humble Grove qualcosa di decisamente particolare, inedito.
Tessitori di singolarità
Tutta la vicenda che vivranno i nostri due protagonisti, nemesi degli autori e sviluppatori, BO e AO, pone le sue fondamenta su un periodo di vita che sta per esaurirsi, mutare, trasformarsi: la fine del intramezzo universitario e l’abbandono del loro appartamento, con BO che tornerà dai suoi genitori e AO, senza più titolarità per restare in Inghilterra causa permesso di soggiorno, che sarà costretta a viaggiare verso il suo paese natale, il Giappone.
Noi vivremo l’ultimo periodo di vita insieme prima di questa scissione, che non comporta solo un naturale fine ciclo, ma viene vissuto con grandissima ansia e angoscia per quella consapevolezza che ogni azione, ogni incontro, ogni discorso, potrebbe non essere ripetibile, e quindi assume un gusto e un’aurea del tutto spiazzante.
Le azioni che saremo chiamati a compiere sono quelle che normalmente si adoperano in situazioni analoghe: organizzare il barbecue di commiato con gli amici, preparare il trasloco, l’immancabili serate gaming tutti insieme, insomma spaccati di vita quotidiana che normalmente si gusterebbero con una certa spensieratezza, ma che in questo caso assumono valori diversi, di unicità mistica, nella consapevolezza dell’abbandono.
Anche i piccoli litigi, le incrostazioni sulle mancanze altrui, su quei riti ormai consolidati dal vivere insieme: il mondo di BO e AO è costellato da queste dinamiche ordinarie, nulla che non sia capibile e intellegibile immediatamente, e proprio questa codifica immediata lascia il palcoscenico agli interminabili dialoghi sulle proprie paure e palesi inadeguatezze.
Nulla di più ci sarà consentito fare: a volte più che protagonisti ci si sente spettatori di vicende altrui, abbiamo trovato difficile immedesimarsi se non mutando e traducendo certi sentimenti in esperienze personali, l’azione che più ci troveremo a fare è prendere atto, anche perchè l’evidente depressione che trasuda da ogni dialogo non predispone questo passaggio, ma lo si interpreta più come caso di studio.
Era questo il rischio che Hana e Cel sapevano di correre nella scelta autobiografica, e purtroppo a livello sia narrativo che concettuale, questo rappresenta una zavorra non trascurabile.
L’esasperazione verbale
Soffermandoci sul gameplay puro, e considerando No Longer Home come un’avventura grafica, diremmo che più che azioni da compiere o compiti a noi assegnati, enigmi, ecc.. il titolo si compone di un unico, lungo peregrinare tra ambienti dove interagire con oggetti e personaggi.
Con un click si innescherà una sequenza che attraverso la narrazione scritta, non dissimile allo stile degli Rpg giapponesi, ci descriverà la situazione o ci consentirà di dialogare: l’approccio verbale sarà l’unico momento di scelta vera, con risposte multiple non solo del personaggio interpretato, ma, curiosamente, non di rado, anche selezionando quelle altrui.
In pratica pur interpretando, ad esempio, BO, nei dialoghi avremo la possibilità non solo di scegliere quale approccio sia meglio per lo stesso, ma anche selezionare periodi di altri personaggi.
Questo espediente conferisce una diversa funzione al giocatore, che raramente abbiamo sperimentato: più che costruire una vicenda specifica riferita ai protagonisti, il focus è sulla storia generale, plasmabile anche attraverso le comparse.
Anche questo elemento fornisce un nuovo indizio su come tutto sia incentrato sulla narrazione, insomma più che vivere la vicenda, che in effetti è un banale stato di nostalgia che spinge all’autoanalisi, ne saremo spettatori: sommersi di dialoghi, dialoghi e ancora dialoghi, in una abbondanza verbale che dopo i primi momenti in cui si ritiene accettabile un ritmo blando, non riesce a mettere quantomeno la seconda marcia tanto che, le rare occasioni di esplorazione dell’appartamento, saranno quasi un salvavita per spezzare una onnipresente monotonia.
Purtroppo, oltre a questo, No Longer Home, non offre nulla, il titolo inizia e si chiude con le stesse dinamiche, una linea piatta, che non fa scattare quel vivido interesse, se non, forse, solo a livello concettuale.
Estetica rotante
Processore | R5 5600X |
Scheda Grafica | RX 5700 XT |
Ram | 16 Gb ram 3200 Mhz |
Hard Disk | Samsung 960 256 Gb/ 860 500 Gb |
Che l’aspetto tecnico non fosse il focus di questa produzione, non era difficile capirlo, certo che, nonostante le attenuanti per un budget sicuramente più limitato rispetto ad altri videogiochi, non possiamo non notare una certa svogliatezza, sia nella resa di alcune icone che sembrano realmente prese in prestito da un pomeriggio su paint, sia nella resa poligonale dei personaggi, anche dando per pacifico il ricorso alla tecnica Low Poly, non sono artisticamente riusciti.
Interessante, invece, il design degli ambienti, esplorabili in 4 sezioni rotative, come si vede nella gif in calce alla review, che invece offrono scorci decisamente più convincenti, dando l’illusione di essere di fronte a una avventura grafica vera: il modello è stilizzato al centro dello schermo e i tagli di regia e le nuove aree danzano in maniera dinamica come in un’ opera teatrale, spaccando la scenografia e ricostruendo nuovi ambienti.
Le animazioni, invece, sono goffe: è sbagliato completamente il baricentro, troppo proteso all’indietro, che causa imbarazzanti corse o camminate: il loro numero, furbamente esiguo, salva il prodotto da una verve che sarebbe stata comica, non adatta al narrato.
Infine il sonoro, uno degli aspetti meglio riusciti, che da il massimo (come suggerito) con un paio di cuffie: le musiche oniriche e sognanti sono perfette, non esiste nulla di recitato, tutto sarà scritto, e si innesta contestuale nella sequenza descritta, restando quasi sempre piacevole.
Epiloghi
Come detto, non capita spesso di trovare l’eccezionalità di un contesto quasi inedito in ambito Pc gaming, quello di una narrativa impegnata e delicata, che si specchia in maniera efficace con l’intimità casalinga, quasi a eleggere a ospite il giocatore, che seduto in un angolo gli è concesso di vivere quel microcosmo.
Purtroppo, seppur chi scrive avesse sostanziose aspettative, bisogna scontrarsi con la realtà di uno schema non funzionante: in rari momenti la copertura narrativa riesca a sostenere l’impalcatura, ma non ha la forza per non sfociare in una noia percepita incolmabile, sono bordate di dialoghi troppo logorroici per non innescare il desiderio di passare oltre.
E’ quindi la misura, il contesto poco stimolante, la particolarità della vicenda troppo personale per fare presa: non vi è un cambio di ritmo tale, una sofisticazione o, semplicemente, l’evento in grado di risollevarlo, ma una linea costantemente piatta fino al termine delle 3 ore circa di durata.
Inoltre, visto il tipo di prodotto, non ha il minimo di rigiocabilità.