Return To Monkey Island Review

by Patrick Grioni
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Sviluppatore:Distributore:Versione testata:Costo:Data rilascio:
Terrible ToyboxDevolver DigitalSteam22,99 euro19/09/2022

Non l’avrei mai creduto. Questo è il periodo con cui voglio iniziare questa analisi.
Non avrei mai creduto di trovarmi a recensire un nuovo titolo diretto da Ron Gilbert, e proprio sulla saga che più di tutte rappresenta un genere, Monkey Island.

Diciamocelo, i punta e clicca senza questo gigante sarebbero un po’ come gli sparatutto senza Doom, e da amante clamoroso della narrazione, quella pacata, ragionata, ricca di sfide, ho accolto l’annuncio di Devolver DIgital, come, prima di tutto un fulmine a ciel sereno, seguito da un mix di euforia e paura.

Ovviamente non è mancata la classica telefonata col mio amico ANDREA, che avete già conosciuto per Syberia, e che su queste pagine fatico a coinvolgere: lui è un personaggio con cui condivido diverse passioni, amante come me delle avventure grafiche che spesso ci consigliamo a vicenda.

In questo caso il notizione non poteva non essere argomento di ragionamenti, e come con me gli stessi sentimenti sono emersi, perchè è evidente che il nome di Monkey Island, la gara di sputi, le sciabolate verbali, siano incastonati nel nostro bagaglio ludico e un po’ abbiamo un senso di protezione.

I primi video di gameplay, con uno stile grafico secondo me ispirato ma che non a tutti è andato a genio, con minacce poco simpatiche all’iconico Ron (che decise di non esporsi più mediaticamente), hanno rappresentato un ritorno alle origini, con una iconografia mutata e più adatta ai tempi che viviamo, ma mantenendo comunque una certa intimità di fondo.

Vediamo, quindi, se questo Return sia all’altezza del nome di cui si fregia.


TRA MELEE E MONKEY


Non esistono tutorial o modalità che illustrino al giocatore cose fare, è tutto elegantemente lasciato all’intuizione (suvvia è un punta e clicca) e a un libro dove vengono narrate le vicende che precedentemente sono accadute nella saga, per coloro che si fossero persi tutti i precedente capitoli.

Nota positiva, se siete novelli, Return To Monkey Island è assolutamente godibile anche come avventura stand alone, certo si perdono alcune sfumature, i personaggi potrebbero essere meno iconici e rappresentativi, ma la struttura è flessibile e consente anche questo approccio.

Vestiremo i panni, inizialmente, di un nanetto biondino, Boybrush Threepwood che insieme al suo amico Chuckie sono soliti rivivere avventure del passato (della saga) e sentirsi dei mirabolanti Pirati, tutta un’allegoria del confronto tra Guybrush Threepwood e il suo classico antagonista LeChuck, ma questa introduzione risulta di una tenerezza e piacevolezza disarmante, è come se Ron l’avesse posta in essere per ammiccare a quel “ritornare bambini” che molti videogiocatori che hanno vissuto il periodo di gloria degli Adventure si sentono chiaramente addosso, rivivendo in epoca matura, quelle vicende.

Come sappiamo il segreto di Monkey Island non è mai stato svelato, tra antagonismi pirateschi, matrimoni e vicende al limite dell’assurdo e dell’alienante, questo particolare non è mai stato approfondito, e questo Return promette proprio di rivelare cosa esso sia.

L’introduzione di cui abbiamo parlato serve a giustificare la sua profonda struttura di flashback, infatti il piccolo Boybrush figlio di Guybrush (protagonista di tutta la saga) finirà su una panchina col padre e sarà lo stesso a raccontare la vicenda passata e già vissuta del suo ritorno a Monkey Island.

Ovviamente in game rivivremo il ricordo comandando direttamente il “Temibile Pirata” ritornando in ambientazioni iconiche come Melee Island, ritrovando personaggi che hanno orbitato nella saga apprezzando cambiamenti e nuove prerogative, ma in un ecosistema che si sente sempre nostro.


NARRATIVO PIU’ CHE OSTICO


Era stato dichiarato: Return To Monkey Island non sarà tra gli Adventure più impegnativi, e la motivazione la fornice lo stesso Ron: non serve più essere così impegnativi.

Può essere più o meno condivisibile la cosa, quando ci sono prodotti che hanno fatto della difficoltà il paradigma dinamico, come Dark Soul, ma in effetti a differenza del passato, quando non esisteva una condivisione generalizzata, l’ostico può essere facilmente superato da “Internet”, il che rende sostanzialmente inutile spingere troppo l’asticella degli enigmi.

Quello che si è cercato di fare è stato l’intento di fornire un prodotto ragionevolmente impegnativo, tanto da non spingerti verso scorciatoie e appagarti per intuizioni, sebbene più banali, comunque non scontate. questo schema è tanto più evidente a causa della presenza anche di due modalità di difficoltà, l’esperienza totale di Return To Monkey Island e quella semplificata, con meno enigmi e passaggi più facili.

Se il target di Ron era quindi quello di adattarsi a un mercato decisamente diverso rispetto al passato, direi che sicuramente l’ha centrato in pieno, Return To Monkey Island è piacevolissimo e ha uno sbilanciamento evidente su narrazione, ambientazioni e cura dei personaggi: si è ricamato usando una grammatica vincente, giocandolo ho provato quella sensazione incredibile di ritorno a casa, senza stonature, forzature, tutto è orchestrato per essere tremendamente appagante.

Da Guybrush bambino, ai dialoghi che hanno di fondo una logica plausibile, per i canoni di Melee e Monkey, fintanto alle ambientazioni, i dettagli in esse presenti, il tipo di narrazione, anche solo riprendendo il gioco quel “Dove eravamo rimasti” caricando il salvataggio, mi ha trasmesso quel sentimento di illusione quasi fossi a una finestra a osservare l’universo caraibico della serie.

Parlando di quest’ultimo ci troviamo in un periodo di evidente decadenza per i traffici pirateschi, i 3 capi pirati hanno perso il polso dei loro predecessori, Carla è governatrice mentre la cara Elaine è in prima linea con la sua campagna contro il propagarsi dello scorbuto.
Attraccata al porto troviamo, senza molto clamore e una spiccata indifferenza, la nave dell’antagonista principe di Guybrush, il pirata fantasma (o meglio non morto) Lechuck, pronto a salpare per l’isola della scimmia.


CLASSICA MODERNITA’


Sistema Prova
Processore: R5 5600X
Scheda Grafica: RX 6800 XT
Ram: 16 GB 3200 Mhz
Archiviazione: NVME 250 GB + SSD SATA 500 GB

Parlando di realizzazione tecnica-strutturale, vorrei prima di tutto soffermarmi sulla nuova interfaccia e inventario: nulla di sbalorditivo, ma si è puntato sulla fluidità d’interazione, le azioni possibili spostando il mouse su un oggetto saranno 2, l’osservazione e l’interazione, alle volte sarà necessario cliccare più volte sulla stessa dinamica per sbloccare alcuni enigmi (inerenti, ad esempio, un oblò, ma io non vi ho detto nulla ;)), di assoluto pregio anche l’implementazione dei comandi Pad, come quelli di Steam Deck, leggermente più macchinosi ma intuitivi e semplici.

L’inventario è composto dalla classica tabella a blocchi, spostando un oggetto sull’altro si creeranno vincoli tra gli stessi (se possibili) e il tutto funziona ovviamente bene, tanto che non vi è motivo di investirci risorse per mutarlo.

Passando all’aspetto tecnico, ovviamente potete immaginare come su 6800 XT non vi siano problemi (così come Steam Deck), mostra una leggerezza e una flessibilità che lo rende fruibile praticamente su qualsiasi Pc anche non recente (con Integrata Intel e AMD): a livello artistico deve piacere lo stile cartoon leggermente deformed di Rex Crowle, che io ho adorato, che si distacca dal registro disegnato delle prime produzioni della serie in Pixel Art di Steve Purcell.

Non ritengo sia un tradimento, ma una scelta consapevole, coraggiosa, che secondo me funziona.

A livello audio, con dialoghi solo in inglese, l’intrattenimento di fondo è ripreso dai classici motivetti di Michael Land che trasudano floppy disk e non accetto possano non piacere, mentre i dialoghi, con una ironia di fondo impareggiabile, sono sempre chiari e splendidamente recitati.

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Luca Vitale
Autore
2 anni fa

i “Pro” mi spezzano. 😀 aggiunto alla mia straripante ToDo list. Non ho un legame cosí sentito con la saga, ma questo va sicuramente giocato.